

LA TERRA DEL COTTO
Il piccolo comune dell’Imprimete vanta una lunga tradizione
nella realizzazione di manufatti in cotto, che sono diventati preziosi elementi strutturali e ornamentali per ville e giardini
DI MICHELE SAVIOZZI – FOTOGRAFIE DI SANDRO VANNINI
Il legame fra una terra e la sua produzione è certe volte inscindibile, tanto da diventare una il sinonimo dell’altra. Pensare al cotto toscano vuoi dire pensare all’Impruneta e viceversa. I due concetti si fondono nell’immaginario collettivo, dando luogo ad una cifra stilistica del tutto rappresentativa. H cotto dell’Impruneta è insomma il cotto toscano per antonomasia, proprio quello che ritroviamo in tanti •palazzi e giardini fiorentini. Ma anche in oggetti d’uso domestico e agricolo. Impruneta è un piccolo comune di 15 mila abitanti, pochi chilometri a sud di Firenze. Si raggiunge percorrendo la Chiantigiana dalla Certosa del Galluzzo; una strada che si snoda dolcemente tra i filari di viti, preannuncio di indimenticabili gioie per il palato. Se le prime testimonianze archeologiche della zona risalgono all’epoca etrusca e romana, è nel corso del Medioevo che si assiste a un notevole incremento demografico legato all’importanza della Pieve di Santa Maria all’Impruneta, chiesa madre che riunisce nella sua diocesi altri 21 edifici di culto. La Pieve custodisce un’immagine sacra della Madonna, oggetto di una particolare venerazione da parte dei fiorentini, più volte portata in processione a Firenze per scongiurare guerre, pesti e carestie. Nelle vicinanze della Pieve si sviluppano una serie di borghi non fortificati che fanno capo ai Buondelmonti, signori della zona e patroni della pieve. Intorno al 1250, durante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, Firenze estende il suo dominio sulla provincia annettendo la Pieve di Santa Maria all’Impruneta alla podesteria del Galluzzo.
Lo sviluppo economico


Lo sviluppo economico crea i presupposti per la nascita della produzione ceramica, che ben presto diventerà la principale attività manifatturiera della Lega di Santa Maria all’Impruneta. Gli artigiani trovano nelle colline del Chianti ricchi giacimenti d’argilla e folte superfici boschive per alimentare le fornaci in cui vengono foggiati i laterizi, le “mezzine” per la conservazione dell’acqua e i caratteristici orci per l’olio d’oliva e il vino. L’estrazione dell’argilla all’Impruneta, a differenza di altre aree della Toscana in cui il forno viene abbandonato una volta esaurito il filone superficiale, diventa sistematica, dando vita nel 1309 ad una fiorente Corporazione degli Orciolai e Mezzinai, di cui diventa rettore e sindaco Ghettino di Ventura del popolo di Sant’Ilario, a Potigliolo. L’arte assume così norme corporative, che regolano in modo preciso l’attività economica ed il lavoro dei suoi componenti, chiamati “maestri”. Nel corso del Quattrocento l’attività dei fornaciai imprunetini si espande: se ne commerciano i prodotti in altri centri del contado e, soprattutto, a Firenze. I mercanti di generi fittili, chiamati “stovigliai”, forniscono laterizi, catini e orci per le principali fabbriche dell’epoca, dall’Ospedale degli Innocenti al monastero dell’Annunziata, dalla Biblioteca Laurenziana agli appartamenti ducali in Palazzo Vecchio e persine per il rivestimento della cupola del Duomo del Brunelleschi. Il cotto imprunetino entra nelle case coloniche, nelle ville e nei palazzi granducali; è utilizzato per i pavimenti, per le conche da agrumi, per i vasi e le statue in terracotta. Un esempio di dimora rinascimentale fiorentina ancora oggi perfettamente conservata è Casa Davanzali, a pochi passi da Palazzo Strozzi; la visita consente di apprezzare gli arredi originali e l’ampio uso del cotto in tutti gli ambienti, compresa la grande cucina, fulcro della vita sociale dell’epoca.
Residenze estive
Molte famiglie fiorentine, dai Corsini ai Ricci agli Antinori, costruiscono le loro residenze estive sulle colline del Chianti e la piazza dell’Impruneta diventa il teatro della famosa Fiera di San Luca. Nel XVI secolo i fornaciai imprunetini intensificano i rapporti mercantili con Firenze, specializzandosi nella fabbrica degli orci per lo stoccaggio dell’olio e di altri liquidi. Gli scarti della lavorazione vengono utilizzati dai muratori nelle costruzioni edili come riempimenti delle volte (soppani) alle quali, grazie alla loro forma tondeggiante, aderiscono perfettamente, costituendo così un ornamento architettonico di grande efficacia.
Il diffondersi dell’olivicoltura determina un’evoluzione nella forma degli orci, utilizzati adesso nelle fattorie quasi esclusivamente per lo stoccaggio dell’olio d’oliva. L’orcio imprunetino aumenta così di dimensioni (sia nell’altezza – che passa dai 60 ai 100 centimetri – sia nel diametro), assumendo una fisionomia più sferica anche se la massima circonferenza è ancora collocata oltre la metà dell’altezza. Per consentirne lo svuotamento, reso difficoltoso dal notevole peso, vengono praticati dei fori nella parte inferiore del manufatto, che continua però ad avere anche la classica bocca a versatolo. Le fornaci sono a conduzione familiare e lavorano prevalentemente nel periodo estivo per favorire l’essiccatura dei manufatti. Si distinguono due tipi di lavorazione: il lavoro “quadro” per quanto riguarda i laterizi
ottenuti con il telaio rettangolare e quello “tondo” per gli orci e le conche, che vengono foggiati con la tecnica del colombino; oppure per le statue e i piccoli vasi realizzati con i calchi in gesso. Alla fine del XVII secolo, con lo sviluppo dell’ars topiaria- (l’architettura dei giardini), i ceramisti imprunetini colgono l’opportunità per diversificare la produzione realizzando terrecotte ornamentali per i parchi. Si fabbricano conche per la piantagione degli agrumi, cassette per i fiori, statue e altri elementi architettonici. L’argilla viene ingentilita con una verniciatura a piombo,
che rende il manufatto ancora più resistente e particolarmente adatto all’esposizione in esterno.
Le fornaci

L’attività delle fornaci imprunetine cresce nella seconda metà del Settecento con lo sviluppo della produzione dell’olio d’oliva e la liberalizzazione del commercio dei manufatti in terracotta. La produzione artigianale, sopravvissuta al processo di industrializzazione della fine dell’Ottocento, si basa ancora oggi sul lavoro manuale, che i ceramisti conducono nelle antiche fornaci, come in quella Agresti, destinata dal comune a Centro di documentazione sul Cotto Imprunetino. Situata ai piedi del centro abitato, la fornace-museo Agresti costituisce un’importante testimonianza, sia per il valore storico dell’edificio, sia per gli attrezzi e i modelli conservati. Il complesso settecentesco, coito in mattoni e pietra, si apre con un loggiato d’ingresso su una collina d’argilla da cui veniva contratta la materia prima e custodisce all’interno i due forni a legna, le stanze per l’essiccazione invernale, la cisterna e il deposito di combustibile. Nella ace si possono ancora cuocere le terrecotte secondo le antiche procedure, alimentando il fuoco per due giorni di seguito mantenendolo a una temperatura intorno ai 1000 “C. Una volta cotto, il manufatto e raffreddato naturalmente e bagnato con acqua fredda in maniera da eliminare tutte le impurità.