

Le “Tegnùe”, il tesoro sommerso del golfo di Venezia
Generalmente si è portati a pensare che l’Adriatico settentrionale sia un mare poco interessante da un punto di vista subacqueo, caratterizzato com’è da fondali molli prevalentemente di tipo sabbìoso-fangosi. Invece, tra i fondali sabbiosi, oltre ai numerosi relitti, spuntano irregolarmente dei particolari affioramenti rocciosi, detti in dialetto veneziano “Tegnùe”, che, un po’ come delle oasi in mezzo al deserto, ospitano degli stra-ordinarì ecosistemi, esclusivi di questo mare, ricchissimi di vita e biodiversità. Già diversi secoli fa i pescatori si erano accorti che i fondali adriatìci non potevano essere costituiti solo da sabbia e fango, perché, in punti particolari, le loro reti rimanevano impigliate in qualcosa di duro presente sul fondo del mare. Ed il nome dialettale Tegnùe sta proprio ad indicare queste “zone di trattenuta”. I pescatori, da un lato temevano queste zone per l’alto rischio di danneggiare le loro attrezzature da pesca, ma dall’altro le ricercavano e ne custodivano gelosamente la posizione, in quanto zone estremamente pescose, in cui si potevano trovare specie pregiate che non si pescavano altrove. Non potevano però immaginare cosa fosse nascosto sotto la superficie del mare. Pensavano che si trattasse di resti di città antiche, sprofondate in seguito a violente mareggiate. La scienza ufficiale ha tuttavia continuato a negare l’esistenza di affioramenti rocciosi naturali in Alto Adriatico fino alla fine degli anni ’60, quando le prime esplorazioni subacquee hanno permesso di svelare questo mistero. Nel 1966, infatti, il Prof. Antonio Stefanon, geologo marino, scopre i primi affioramenti rocciosi al largo di Grado. Gli studi successivi, hanno dimostrato come questi affioramenti siano in realtà comuni un po’ in tutto il bacino settentrionale, distribuiti irregolarmente su di un area che si estende dalle foci dei Po’ fino oltre Grado, in una fascia di profondità compresa tra i 10 e i 40 metri. Questi studi hanno anche evidenziato come le Tegnùe siano molto diverse tra loro, con morfologie e strutture estremamente variabili ed estensioni che possono andare da pochi m2 a diverse migliaia di m2.
Proprio dì fronte al litorale dei Cavallino si trovano alcune tra le Tegnùe più significative dell’Alto Adriatico, oggi ai centro di un importante progetto di tutela ambientale. Le immersioni subacquee sulle Tegnùe possono riservare notevoli sorprese. L’acqua è un po’ torbida, ma è sufficiente portare in immersione un buon faro subacqueo per assistere ad un esplosione forme di vita e di colori degne di mari ben più famosi. Tutta questa biodiversità è possibile solo grazie alle favorevoli condizioni ambientali, in particolare all’elevata disponibilità di cibo presente nell’acqua sotto forma di plancton e sostanza organica disciolta, e al caratteristico regime delle correnti sottomarine, che spazzano le Tegnùe i ed impediscono la deposizione dei sedimenti sugli affioramenti, che soffocherebbe i popolamenti. Se da un lato le Tegnùe sono degli ambienti unici e davvero straordinari, dall’altro sono anche degli ecosistemi estremamente fragili e delicati, che possono venire facilmente danneggiati anche dall’imperizia dei subacquei. Per rispettare le Tegnùe è sufficiente attenersi ad alcune semplici regole di buonsenso.