Educazione ed informazione alla salute
ASSESSORATO ALLA SANITÀ’ DELLA REGIONE VENETO
Con il patrocinio ed in collaborazione con le Facoltà di Medicina e di Farmacia della Università di Padova e con la Facoltà di Medicina dell’Università di Verona
F.I.S.M.S. Federazione Italiana Società Medico Scientifiche F.A.N.D. Federazione delle Associazioni Nazionali dei Diabetici A.N.I.C. Associazione Nazionale Ipertesi Cronici Consulta Regionale degli Ordini dei Farmacisti UNIFARVE Unione Regionale dei Titolari di Farmacia della Regione Veneto
Sovrappeso ed Obesità
QUANDO E PERCHÉ IL SOVRAPPESO E L’OBESITÀ DIVENTANO UN PROBLEMA.
IL SOSPETTO CHE CONDUCE DAL MEDICO
# 1) Un individuo è sovrappeso oppure obeso se il suo peso corporeo è eccessivo rispetto a quello che consente una buona salute.
# 2) L’eccesso di peso è pericoloso per la salute perché può portare molte malattie, come il diabete, l’ipertensione, l’infarto ed altre ancora.
# 3) Quando si ha il sospetto che il proprio peso sia troppo elevato è opportuno consultare il proprio medico.
# 4) Solo il medico può decidere se il peso non è quello giusto ed inoltre quando ed in che modo tentare di ridurlo.
# 5) Tentativi di perdere peso svolti senza il controllo del medico possono comportare conseguenze anche molto pericolose.
1. Le problematiche che riguardano il peso corporeo sono attualmente diventate una rubrica fissa per i mass-media: non c’è giornale, quotidiano o settimanale che regolarmente non tratti, con ampi dettagli, questo delicato argomento. Molto spesso purtroppo le notizie ed i commenti sono confusi ed anche lontani dalla verità: si confonde quasi sempre quello che potrebbe essere un banale aspetto estetico con le vere problematiche mediche. Deve essere tenuto ben presente che anche l’aspetto estetico è un argomento assai discutibile perché, anche se “de gustibus non est disputandum”, esso è influenzato dalla cosiddetta moda che attualmente si riflette nelle pallide e malnutrite “top-models”. L’ideale di bellezza e quindi di “peso ideale” della fine ‘900 è, come ben noto, molto distante da quello degli anni ’50 quando imperavano le nostre “maggiorate”.
Ma al di là di tutte queste frivolezze va categoricamente ribadito che le problematiche che riguardano il peso corporeo sono di stretta pertinenza medica e che esso va considerato in eccesso quando l’eventuale eccesso non è compatibile con il miglior stato di salute.
2. Come si può vedere dalla tabella allegata, varie e molteplici possono essere le complicanze dell’obesità, cioè gli stati morbosi che sono determinati dall’eccesso di peso. In qualche caso si parla anche di patologia associata, ad esempio l’ipertensione o la patologia cardiovascolare, perché si giudica che l’aumento del peso corporeo è sicuramente un fattore molto importante nello sviluppo e nell’evoluzione della malattia, ma che essa riconosce anche altri fattori determinanti di uguale e, talora, anche di maggiore importanza.
Per quanto riguarda il diabete (e solo il diabete di tipo 11°) e le alterazioni dell’attività dell’insulina, si tratta di peculiari alterazioni metaboli-che che trovano nell’eccesso di peso ed in modo particolare nell’aumento del grasso corporeo uno specifico fattore corresponsabile dello sviluppo e dell’evoluzione della malattia. Anche le dislipidemie e l’iperuricemia sono alterazioni metaboliche che, molto spesso, riconoscono nell’eccesso di peso corporeo e nei disordini nutrizionali che ne sono la causa, gli specifici fattori responsabili. Colelitiasi e steatosi epatica rappresentano anch’esse complicanze di tipo metabolico dell’eccesso di peso e dei disordini alimentari che l’hanno generato. E’ comunque da ricordare, sia per queste che per altre complicanze, che esse possono svilupparsi anche in soggetti a peso normale quando il fattore predisponente della malattia è così “forte” da non avere bisogno del cofattore obesità per determinare il suo sviluppo clinico. Per quanto riguarda le alterazioni dell’apparato respiratorio, di quelle dell’apparato osteoarticolare e di quelle della circolazione venosa degli arti inferiori, si tratta per lo più di complicanze meccaniche dell’eccesso ponderale. È la massa corporea stessa che “fisicamente” compromette, in tempi più o meno lunghi, le normali funzioni dei vari organi ed apparati, senza comunque escludere che anche in questi casi esista una componente “metabolica” sia nel danno d’organo che in quello delle sue funzioni.
3. Si è detto quanto numerose e molteplici siano le complicanze e gli stati morbosi associati al sovrappeso ed all’obesità: è quindi giustificato dedicare una prudente attenzione al proprio peso corporeo. Per la specifica pertinenza medica delle conseguenze legate alle alterazioni del peso e soprattutto per il fatto, oramai documentato, che non esiste il peso ideale ma, come si vedrà, un discretamente ampio “range” di valori di peso che sono i più adeguati per ogni singolo individuo, ogni sospetto deve essere confrontato e verificato con il proprio medico.
4. Ricordando che si deve parlare di sovrappeso oppure obesità quando il peso corporeo è eccessivo rispetto a quello che consente una buona salute, si può capire che le definizioni di eccesso di peso e della relativa gravita sono procedure diagnostiche e come tali spettano esclusivamente al medico. Possono e devono essere date indicazioni affinchè ognuno sia in grado di controllare se il proprio peso è nell’ambito di valori prudentemente accettabili oppure se il suo livello ponderale sia “a rischio” di complicanze, ma la diagnosi definitiva spetta esclusivamente al medico. Non si tratta solamente di un diritto-dovere professionale ma di un’opportuna salvaguardia della propria salute perché alla diagnosi deve far seguito la terapia e non esiste al mondo nessuno che possa, sia legalmente che secondo scienza e coscienza, sostituirsi al medico nella decisione di quando è necessario ed opportuno curare (cioè ridurre) un eccesso di peso e di quali modalità devono essere adoperate per attuare tale intervento.
5. Putroppo, la maggior parte dei tentativi di perdere peso vengono attuati senza il controllo del medico. Tale atteggiamento ha spiegazioni molteplici che non possono essere affrontate in questa sede; va però affermato che le conseguenze più vistose di questo fenomeno sono quelle di alimentare la cosiddetta “diet industry”, cioè tutto il mondo non medico che specula sul desiderio di magrezza. Ma quello che maggiormente si deve conoscere è che la perdita di peso si traduce in modificazioni anche significative dei compartimenti corporei con alterazioni di equilibri molto delicati che, una volta compromessi, possono comportare serie conseguenze fino ai non infrequenti casi di decesso.
Nella gran parte dei casi, inoltre, tali interventi portano risultati effimeri, cui fa seguito il recupero del peso perduto ed, usualmente, l’innesco di una perversa spirale di dimagramenti e reingrassamenti: ogni volta con qualche chilogrammo in più di prima. Si tratta del ben noto (soprattutto a chi ha problemi di peso) fenomeno dell’oscillazione del peso anche conosciuto come “sindrome dello yo-yo”. I risultati di indagini recenti hanno dimostrato che l’oscillazione del peso corporeo comporta un rischio significativo di mortalità che è anche superiore a quello dell’eventuale eccesso di peso. Sembra quindi giustificato affermare che la diagnosi di eccesso di peso, la decisione di correggerlo e quella delle modalità di cura, devono essere effettuate solo ed esclusivamente dal medico.
LE DEVIAZIONI DEL PESO E L’INDICE DI MASSA CORPOREA
# 1) Con il passare degli anni il peso corporeo tende ad aumentare; dovrebbe, invece, rimanere invariato nel tempo.
# 2) Confrontando il proprio peso con quello dei vent’anni si ottiene un valore, pur grossolanamente, indicativo dell’eventuale sovrappeso.
# 3) Un altro metodo per valutare l’eccesso di peso è quello di calcolare l’Indice di Massa Corporea o IMC, che si ottiene dividendo il numero dei kg del proprio peso per il risultato della moltiplicazione dell’altezza per sé stessa = peso/altezza2.
Esempio: peso Kg 70 – altezza mt 1,70
1,70 x 1,70 = 2,89 Kg 70 : 2,89 = 24,5Questo è il proprio IMC o Indice di massa corporea
# 4) Si confronti il proprio IMC con quelli riportati nella tabella: se cade al di fuori dei valori del normopeso è necessario consultare il proprio medico
1. E’ osservazione comune ed esperienza di tutti che con il passare degli anni il peso corporeo progressivamente cresce: dalla fine dell’adolescenza alla gioventù, dalla maturità all’inizio della vecchiaia non è di poco conto il fardello in kg che tende ad aumentare.
Sono ancora molte le discussioni su questo fenomeno: anche a livello scientifico non è stato raggiunto un pieno accordo. Alcuni sostengono che il peso non dovrebbe crescere, altri invece affermano che qualche kg in più non è dannoso, anzi benefico. Sono qui doverose alcune considerazioni: innanzitutto si è già visto nella prima scheda che l’eccesso di peso è un indiscutibile fattore di rischio per la salute. Inoltre, l’aumento di peso caratteristico del passare degli anni si configura a carico del grasso corporeo e, nella gran parte dei casi, si associa alla progressiva riduzione delle masse muscolari. Il suddetto aumento di peso si associa quindi ad una maggiore quantità del grasso corporeo e si spiega perciò il progressivo aumento del rischio cardiovascolare con il passare degli anni.
2. Si può affermare che attorno ai 20 anni si configura una sostanziale maturità fisica e, in genere, un ottimale equilibrio tra i vari compartimenti corporei, massa adiposa e massa muscolare. Se si analizzano inoltre gli studi epidemiologici che hanno ricercato i valori di peso corporeo ai quali si associ il rischio minore di malattie e di mortalità, il peso cioè che consente la miglior aspettativa di vita, si può osservare che i suddetti valori sono, di regola, quelli che mediamente vengono raggiunti ai 20 anni. Si può quindi affermare che il peso dei 20 anni rappresenta, in qualche modo, e sempre considerando i valori medi di una popolazione, il peso ideale dei soggetti compresi in quella popolazione. Se un soggetto, quindi, confronta il proprio peso attuale con quello posseduto a 20 anni è in grado di vedere se esiste una differenza più o meno significativa, la quale può essere indicativa dell’eventuale eccesso ponderale.
3. Si è detto delle moltissime ed importanti indagini sui rapporti tra peso corporeo e rischio di ammalarsi e di morire precocemente. Per l’analisi di questi studi è importante possedere degli strumenti numerici i quali consentono l’elaborazione matematica dei risultati stessi. Il peso corporeo da solo non è una variabile obiettiva perché, ovviamente, esso dipende dalla statura di un singolo individuo. Un sistema quindi è quello di usare come indice ponderale il rapporto tra il peso corporeo e l’altezza: per ragioni matematiche è risultato più utile che tale rapporto consideri il quadrato dell’altezza invece che l’altezza da sola. Tale rapporto si chiama Indice di Massa Corporea (IMC) e si ottiene facendo la semplice operazione aritmetica di dividere il peso in kg per l’altezza, in metri, al quadrato.
4. Dai risultati degli studi epidemiologici che hanno utilizzato l’Indice di Massa Corporea, si è potuti arrivare alla costruzione di una classificazione degli stati ponderali. Essa prevede la categoria dei soggetti sottopeso quando l’Indice di Massa Corporea è minore di 20; quando l’indice è compreso fra 20 e 25 si considera la categoria del peso normale; quando l’indice è compreso fra 25 e 30 si parla di sovrappeso ed infine di obesità quando esso è maggiore di 30. Tale classificazione è correlata al rischio che il peso corporeo esercita sullo stato di salute: quando l’Indice di Massa Corporea rientra tra 20 e 25 significa che il peso non incide statisticamente sullo stato di salute ed è quindi da considerarsi normale. Ogni deviazione, per difetto o per eccesso, da tale intervallo di valori di IMO deve essere considerata a rischio per lo stato di salute. Confrontando il proprio Indice di Massa Corporea con i valori riportati nella tabella allegata si può valutare se esso è nell’ambito della normalità oppure no; se è al di fuori della fascia del peso normale è necessario consultare il proprio medico. Dalla tabella può essere già intuibile che dal sovrappeso all’obesità il rischio è progressivamente crescente: è infatti modesto nell’ambito del sovrappeso e dipende dall’esistenza di altri fattori di rischio, quali il diabete, l’ipertensione arteriosa o alterazioni dei lipidi ematici. È invece più importante e sembra dipendere dall’eccesso di peso “di per sé”, quando l’Indice di MassaCorporea rientra nella fascia dell’obesità.
Non può essere infine trascurata la categoria del sottopeso: in questa rientrano le cosiddette “magrezze” costituzionali, quelle cioè di soggetti che sono più o meno magri, in presenza di un corretto stile di vita e di un normale comportamento alimentare. Sono individui che usualmente godono di ottima salute, ma essi rappresentano solo una parte di quelli “statisticamente” sottopeso. In alcuni casi si tratta di soggetti che sono in deficit ponderale a causa di specifiche malattie ed allora è a queste che deve essere indirizzata l’attenzione del medico; in altri casi invece, oggi sempre più frequenti, si tratta di soggetti che sono in sottopeso a causa di disturbi del comportamento alimentare, in relazione, usualmente di problematiche sociali, psicologiche o francamente psicopatologi-che. A questi deve essere prestata sia da parte dei familiari che soprattutto del medico la massima attenzione, perché usualmente tali soggetti negano l’evidenza del sottopeso.
LA DISTRIBUZIONE REGIONALE DEL TESSUTO ADIPOSO
# 1) Quando il peso aumenta, il grasso può distribuirsi in varie parti del corpo: può localizzarsi prevalentemente nell’addome (soprattutto nel maschio) oppure nei fianchi e nelle cosce (specie nelle donne).
# 2 ) Molti dei rischi per la salute associati all’obesità (es. il diabete, l’ipertensione e l’infarto) sono frequenti quando il grasso si localizza nell’addome: si parla di obesità a “mela o androide (di tipo maschile) o viscerale.
# 3 ) Se il grasso è localizzato nei fianchi o nelle cosce i rischi per la salute sono minori: è il caso di obesità a “pera” o ginoide (di tipo femminile) o sottocutanea. Sono però frequenti l’artrosi dell’anca e delle ginocchia e le vene varicose.
# 4 ) Un metodo semplice per valutare la distribuzione del grasso corporeo è quello del calcolo del rapporto tra la circonferenza della vita e quella dei fianchi: si divide la misura della vita per quella dei fianchi = V:F.
# 5) Si considera distribuzione di tipo androide o “viscerale”, e quindi a rischio per la salute, quando il V:F (cioè il rapporto tra la vita ed i fianchi) è maggiore di 0.85 nella donna e di 0.95 nel maschio.
1. L’aumento del peso corporeo avviene usualmente per aumento del tessuto adiposo; solo negli atleti ed in particolare in alcune discipline quali il sollevamento peso o il culturismo, l’aumento del peso può essere dovuto ad aumento delle masse muscolari. In qualche caso, l’eccesso di grasso corporeo si distribuisce omogeneamente nelle varie regioni dell’organismo; nella gran parte dei casi , però, il tessuto adiposo eccedente tende a localizzarsi in alcune ben definite regioni corporee. Nel maschio, ad esempio, tende a distribuirsi soprattutto nella regione del tronco ed in particolare nell’addome: si configura così l’obesità centrale-addominale detta anche obesità androide (perché tipica del maschio) oppure “viscerale” (perché il grasso si accumula anche all’interno dell’addome, cioè tra i visceri) oppure infine, figurativamente, obesità a “mela”. Nella donna invece l’eccesso di tessuto adiposo tende a distribuirsi caratteristica-mente nella regione dei fianchi e in quella delle cosce: si parla di obesità di tipo periferico o “sottocutaneo” (perché l’eccesso di tessuto adiposo si localizza nella regione del sottocute e non in profondità tra i visceri) oppure ginoide (perché di tipo femminile), oppure, figurativamente, obesità a “pera”.
2. Si è osservato che nei soggetti con obesità di tipo addominale è molto frequente la presenza dei maggiori fattori di rischio per la salute: ad esempio il diabete, l’ipertensione arteriosa, l’aumento dei lipidi ematici e la comparsa frequente anche di infarto del miocardio. Esistono convincenti spiegazioni fisiopatologiche di questo fenomeno: esse possono essere sintetizzate nella peculiare attività metabolica del tessuto adiposo viscero-addominale. Tale tipo di grasso corporeo, infatti, è il primo a depositarsi ed il primo a ridursi quando si configurano necessità energetiche. Quando però esso si accumula a lungo, come nell’obesità, esso diventa pericoloso per la salute.
3. L’osservazione clinica ed anche i risultati delle indagini scientifiche hanno dimostrato che nel caso di obesità di tipo ginoide i rischi per lo stato di salute non sono frequenti. Anche in questo caso dipende dalle caratteristiche metaboliche del tessuto adiposo di questa regione, che tende ad accumularsi e difficilmente si riduce. È soprattutto durante la gravidanza che il grasso dei fianchi si deposita con facilità e non si riduce, mentre dopo il parto e nel periodo dell’allattamento tale tipo di grasso fornisce il substrato metabolico per la formazione del latte. Il tessuto adiposo dei fianchi è quindi un fattore molto importante per la sopravvivenza del neonato ed è quindi indispensabile per la sopravvivenza della specie umana. Per questo motivo esso non è pericoloso; anzi sembra essere protettivo per il rischio cardio vascolare.
Molto spesso le problematiche sono di carattere estetico e come tali vengono vissute con disagio da parte delle pazienti. Si deve sempre ricordare che quando il tessuto adiposo è localizzato prevalentemente nelle regioni dei fianchi o delle cosce non costituisce un problema medico e quindi in queste circostanze non dovrebbero essere intrapresi tentativi di riduzione del peso corporeo. Solo nel caso di eccessi ponderali di grado elevato le obesità ginoidi possono complicarsi con problematiche agli arti inferiori, quali l’insufficienza venosa e la patologia artrosica.
4. Può essere utile valutare in modo pratico ed indicativo la suddetta distribuzione del tessuto adiposo: un metodo semplice, ma validato scientificamente e, soprattutto, alla portata di ognuno è quello di misurare (usando ad esempio una cordella metrica del tipo di quella dei sarti) la circonferenza della vita a livello dell’ombelico e quella dei fianchi a livello del punto di massima circonferenza. Dividendo la misura della circonferenza della vita per quella dei fianchi si ottiene un rapporto (Vita:Fianchi = V/F) che rappresenta un buon indice della distribuzione del tessuto adiposo in regione centrale o periferica oppure in sede viscerale o sottocutanea.
È infatti intuitivo che la circonferenza della vita è in qualche modo condizionata dalla quantità di grasso localizzato nell’addome e che la circonferenza dei fianchi è legata dal tessuto adiposo della regione glutea e da quello ubicato alla radice delle cosce. Si comprende quindi che il rapporto V/F, oltre ad essere semplice e pratico, possiede anche validità scientifica.
5. Quando il rapporto V/F è maggiore di 0.85 nella donna oppure di 0.95 nel maschio significa che la distribuzione del grasso corporeo è di tipo addominale o “viscerale” (perché, come si è detto, il grasso si accumula anche all’interno dell’addome, cioè tra i visceri). In questo caso l’eccesso di peso corporeo deve essere considerato a rischio, pericoloso cioè per lo stato di salute, e deve essere quindi ridotto. Quando invece il valore del rapporto V/F è minore dei valori suddetti, la distribuzione del grasso corporeo è di tipo periferico o “sottocutaneo” (perché l’eccesso di tessuto adiposo si localizza nella regione del sottocute e non in profondità tra i visceri). In questo caso, si ricorda che l’eccesso adiposo non costituisce pericolo per la salute e non vi è ragione, se non squisitamente estetica, di volere perdere peso.
LA RIDOTTA ASPETTATIVA DI VITA
# 1) L’obesità riduce la durata della vita. II motivo è da ricercare nelle malattie che sono favorite dall’eccesso di peso. Anche essere troppo magri è pericoloso: bisogna mantenere il peso corporeo entro valori ragionevoli (IMC tra 20 e 25).
# 2) Se un soggetto è predisposto al diabete (quello della maturità, non insulino-dipendente), l’eccesso di peso ne facilita ed accelera la comparsa e rende più difficile la cura. In questo tipo di diabete, la perdita di peso è la migliore terapia e risparmia l’uso dei farmaci.
# 3) Almeno metà dei soggetti obesi è iperteso ed almeno metà dei soggetti ipertesi è obeso. La riduzione del peso corporeo può migliorare i valori della pressione arteriosa ed in molti casi può normalizzarli.
# 4)Le condizioni morbose associate all’obesità aumentano il rischio di patologia cardiovascolare, la maggior causa di morte dei paesi più industrializzati. Una modesta perdita di peso può consentire significativi, benefici effetti sulle complicanze e sul rischio di mortalità associate all’eccesso ponderale.
1. Si è detto nelle schede precedenti che l’Indice di Massa Corporea è un utile strumento per valutare l’esistenza di un eventuale eccesso di peso. Questo indice è stato utilizzato anche nelle indagini scientifiche condotte per studiare i rapporti tra peso corporeo ed il rischio di malattie e di precoce mortalità. Già gli antichi medici avevano osservato che l’obesità riduce la durata della vita: oggi, con i risultati delle indagini suddette, ne possediamo la dimostrazione scientifica. Nella figura allegata è ben evidente che quando l’Indice di Massa Corporea si allontana dall’intervallo di valori del cosiddetto peso normale, il rischio di mortalità aumenta progressivamente. La motivazione di questo fenomeno risiede nel fatto, ampiamente dimostrato, che l’eccesso di peso corporeo favorisce la comparsa di numerose malattie delle quali si è già parlato. L’osservazione della figura consente un’altra considerazione: anche un peso corporeo troppo ridotto può essere pericoloso. Si vede infatti che, quando l’Indice di Massa Corporea scende al di sotto dei valori di normalità, il rischio di mortalità sale progressivamente con intensità confrontabile a quella dell’eccesso di peso. La conclusione è quindi quella che bisogna mantenere il proprio peso all’interno di valori ragionevoli (l’Indice di Massa Corporea deve essere compreso tra 20 e 25 perché, come indicato dalla figura, all’interno di questa fascia di valori il rischio di mortalità è minimo e comunque non dipendente dal peso corporeo).
Le indagini svolte su ampie popolazioni, studiando per molti anni il rischio di mortalità, hanno dimostrato che il rischio è minore quando l’Indice di Massa Corporea (IMC) è compreso tra 20 e 25: per tale motivo si dice che questa è la fascia del “peso normale “. Quando l’Indice di Massa Corporea è minore di 20 oppure è maggiore di 25 il rischio di mortalità aumenta: la figura dimostra che il rischio sale progressivamente sia per i soggetti sottopeso che per quelli sovrappeso quando i loro valori di IMC si allontanano dalla fascia di “normalità “
2. Il diabete dell’età adulta, che usualmente non necessita di somministrazione di insulina, è malattia a predisposizione familiare ed oggi incide con preoccupante frequenza nelle nostre popolazioni. E’ oramai ben noto che l’eccesso di peso, soprattutto quando il grasso corporeo si localizza in regione addominale, facilita la comparsa di questa malattia. Inoltre, nei soggetti diabetici ed obesi, la terapia è difficile anche mediante l’uso di farmaci ipoglicemizzanti. La spiegazione di questo fenomeno è assai complessa e risiede, almeno in parte, nelle caratteristiche metaboliche del grasso addomino-viscerale. Per tali considerazioni, in questo tipo di diabete che si associa all’obesità, il migliore intervento terapeutico è quello della perdita di peso. Infatti con la riduzione ponderale si riduce anche il grasso addomino-viscerale e viene così meno il principale imputato della comparsa cllnica del diabete della maturità nei soggetti obesi. Si è anche potuto osservare che la perdita di peso, oltre al miglioramento del compenso della malattia diabetica, consente di ridurre e talora di sospendere l’uso dei farmaci antidiabetici.
Per tutte queste considerazioni l’esistenza di un evidente sovrappeso, specie se di tipo addomino-viscerale, ed in particolare in soggetti adulti con presenza nell’ambito familiare di qualche caso di diabete, deve suggerire di consultare il proprio medico per una attenta valutazione del rischio o della presenza di diabete: sarà sempre e comunque il medico che dovrà decidere sia la metodologia diagnostica che, soprattutto, l’eventuale intervento terapeutico.
3. La frequenza di ipertensione arteriosa nella nostra popolazione è attualmente molto elevata: le complicanze di questa malattia sono così pericolose che essa deve essere adeguatamente trattata. L’osservazione clinica ci dice che l’ipertensione arteriosa è molto frequentemente associata all’obesità: l’esperienza inoltre ci insegna che la presenza di eccesso di peso rende più difficile il trattamento dell’ipertensione arteriosa, ostacola la normalizzazione dei valori pressori e costringe, assai spesso, all’uso di elevate dosi di farmaci antiiper-tensivi. La riduzione del peso corporeo migliora, nella maggior parte dei casi, i valori della pressione arteriosa e, molto spesso, riesce anche a normalizzarli. La perdita di peso, anche quando non normalizza la pressione, rende più agevole il suo controllo mediante l’uso dei farmaci e, molto spesso, consente di adoperare dosi farmacologiche più modeste.
La presenza di ipertensione arteriosa associata ad obesità impone quindi di ridurre il peso corporeo: sarà sempre e comunque il medico curante colui il quale dovrà decidere se, come e quando, dovrà essere ridotto il peso corporeo di un soggetto iperteso che sia anche in eccesso ponderale.
4. Oltre al diabete ed all’ipertensione arteriosa, l’obesità, specie di tipo viscerale, si associa frequentemente ad alterazioni dei lipidi ematici ed anche ad altri fattori di rischio cardiovascolare: tra questi devono essere ricordati i disordini della coagulazione del sangue. Il diabete, l’ipertensione arteriosa e le iperlipidemie favoriscono la comparsa dell’arteriosclerosi, specie a livello coronarico, aortico e degli arti inferiori. Le alterazioni del sistema emo-coagulativo propiziano l’evento trombotico e possono scatenare l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale, i quali rappresentano la più importante causa di morte dei paesi tecnologicamente avanzati. La riduzione del peso corporeo migliora i fattori di rischio cardiovascolare associati all’obesità. Esistono convincenti dimostrazioni che gli effetti benefici della perdita di peso si configurano anche quando il dimagramento è di grado modesto: circa il 10% del peso iniziale.
LA NECESSITÀ DI MODIFICARE LO STILE DI VITA
# 1) Molti individui, soprattutto donne desiderano perdere peso: è un atteggiamento corretto se l’IMC è nella fascia del sovrappeso o dell’obesità; altrimenti può essere dannoso per la salute. Si ricordi, comunque, che è sempre indispensabile consultare il proprio medico.
# 2) Perdere peso sembra molto semplice: è sufficiente mangiare di meno e consumare di più. Molti riescono facilmente, altri fanno molta fatica; la maggior parte recupera rapidamente il peso perduto perché non ha capito che la cura dell’obesità deve durare tutta la vita.
# 3) Vi sono molti metodi per perdere peso: quelli più seguiti sono le diete dei rotocalchi, che promettono miracoli, e gli intrugli (anche di farmaci) degli imbroglioni e dei ciarlatani che, oltre a consentire solo effimeri risultati, mettono a repentaglio la salute.
# 4) Vi sono poi i professionisti seri oppure i centri universitari ed ospedalieri che, in genere, non riscuotono grande successo perché richiedono tempo, impegno personale e sacrifici e non promettono risultati immediati.
1. Il desiderio di perdere peso rappresenta oggi un fenomeno di massa stimolato dai cosiddetti mezzi di comunicazione che associano lo “status symbol” con improponibili ideali di magrezza.
Per tale motivo, molto frequentemente il desiderio di magrezza non è sostenuto da evidenti ragioni di salute. Se l’Indice di Massa Corporea non indica uno stato di sovrappeso o di obesità, il tentativo di perdere peso non è giustificato e può, quindi, essere addirittura dannoso per la salute. Si ricordi che la perdita del peso corporeo è sempre e comunque un momento assai difficile e delicato per il nostro organismo anche in condizioni di manifesto eccesso ponderale. La decisione di intraprendere una terapia dimagrante deve essere quindi sempre lasciata nelle mani del proprio medico curante. Solo il medico possiede le conoscenze e gli strumenti per intraprendere e condurre “secondo scienza e coscienza” una decisione terapeutica sempre molto difficile e delicata.
2. È credenza comune che l’eccesso di peso sia dovuto ad eccessivo introito di cibo. Di conseguenza, perdere peso sembrerebbe un problema di facile soluzione: dovrebbe essere sufficiente mangiare di meno e, magari, muoversi di più per consumare maggiori calorie.
La realtà è invece molto diversa: a fronte di pochi che, quando fanno una dieta, perdono peso con facilità, ve ne sono molti che non riescono affatto oppure riescono ad ottenere modesti risultati ma a prezzo di (almeno “riferiti”) grandi sacrifici. Quello che è sicuro è che, nella maggior parte dei casi, il peso perduto viene rapidamente recuperato, spesso aggiungendo al peso di partenza qualche chilogrammo in più.
La spiegazione di questo fenomeno è molto complessa, ma può essere sintetizzata nel fatto che, in genere, si considera il dimagramento come un episodio attraverso il quale si guarisce una malattia: l’eccesso di peso. Si crede, a torto, che l’eventuale peso perduto sia un fatto definitivo; si pensa che il problema sia stato definitivamente risolto. L’obesità invece è uno stato morboso che si configura per il convergere di motivazioni diverse, dalla trasmissione genetica di un fattore predisponente, alla influenza ambientale di uno stile di vita scorretto. Nessuna dieta è in grado di eliminare un gene difettoso né di correggere uno stile di vita inadeguato. Il primo sarà presente per tutta la vita, il secondo sarà sempre in agguato nel sistema di vita occidentale: per questo la terapia dell’obesità deve continuare tutta la vita, pena le delusioni e gli insuccessi.
3. I sistemi per perdere peso che attualmente vengono maggiormente seguiti sono quelli indicati dai giornali, settimanali in genere, che usualmente promettono miracoli. Grande successo ottengono anche i pasti alternativi, le pozioni magiche e gli intrugli (purtroppo spesso anche di farmaci) proposti da soggetti che sono degli ignoranti oppure degli imbroglioni; comunque sono dei ciarlatani. Tutti questi metodi, che consentono risultati più o meno effimeri, mancano del più corretto e del necessario rigore scientifico; inoltre, nella grandissima maggioranza dei casi, non sono gestiti dal medico. Non ci vuole grande preparazione né troppa fantasia per capire che la ricerca della perdita di peso attraverso sistemi di questo tipo può mettere a repentaglio la salute. Sono molto frequenti infatti le segnalazioni di compromissione dello stato di salute ed anche, purtroppo, di decessi a seguito di tentativi di perdere peso mediante sistemi non ortodossi.
4. La riduzione del peso corporeo, pur indispensabile e benefica in caso di sovrappeso o di obesità, non è un fatto puramente estetico ma un evento medico che, come si è già detto, comporta il coinvolgimento di tutti gli organi ed apparati. La perdita di massa corporea, anche quando necessaria, è “vista” dai vari sistemi regolatori dell’organismo come un evento destabilizzante al quale essi tendono ad opporsi, ad esempio mediante la riduzione della capacità di dispersione di energia, ed in particolare del metabolismo di base. La perdita di peso si traduce in modificazioni anche significative dei compartimenti corporei con alterazione di equilibri molto delicati che, una volta compromessi, possono comportare serie e pericolose conseguenze. Durante il dimagramento si perde grasso in eccesso, ma anche si “consuma” tessuto muscolare; si ricordi che anche il cuore è un muscolo. Una perdita di peso troppo rapida e cospicua può comportare pericolosi danni al cuore, che possono essere gravi fino al decesso.
Tutto questo è ben noto ai professionisti seri e preparati; questi aspetti sono una principale causa di preoccupazione dei centri universitari ed ospedalieri specializzati nel trattamento dell’obesità. Questi però non hanno lo stesso seguito dei rotocalchi o dei ciarlatani, perché non promettono e soprattutto non permettono il rapido dimagramento, ma propongono programmi che richiedono impegno personale e costante, spesso sacrifici notevoli, comunque una notevole disponibilità. Il risultato immediato è, invece, lo specchietto per le allodole che richiama l’ingenuo paziente e lo espone poi a sicure delusioni oltre che a dimostrati, gravi pericoli.
LA DIFFICOLTÀ DI PERDERE PESO CORRETTAMENTE
# 1) Tentare di perdere peso senza cambiare abitudini, comportamento, stile di vita, è destinato inesorabilmente a fallire: la conseguenza più frequente è l’abbandono della dieta ed il rapido aumento di peso.
# 2) Le terapie dimagranti che prevedono solo la dieta devono essere considerate del tutto inutili perché nessuno può restare a dieta tutta la vita. Il provvedimento più efficace è quello di cambiare radicalmente le proprie abitudini, il comportamento, la mentalità e soprattutto lo stile di vita.
# 3) Per ottenere questo risultato deve essere attuato un programma terapeutico di tipo psico-educativo, nel cui contesto si inseriscono i tradizionali capisaldi della terapia dimagrante: la dieta, l’attività fisica ed anche i farmaci.
# 4) Solo ed esclusivamente il medico può coordinare un simile programma.
1. La maggior parte di coloro che hanno difficoltà a raggiungere e/o mantenere il peso desiderabile vorrebbe dimagrire passivamente adottando la dieta proposta dal settimanale alla moda, senza fare alcun tentativo di modificare quei fattori che, nella maggior parte dei casi, hanno consentito alla predisposizione ereditaria di tramutarsi in obesità. Le abitudini ed il comportamento, specie alimentare, in genere lo stile di vita, sono i principali imputati: è ben comprensibile che ogni cambiamento costi molta fatica e che chiunque sia restio ad intraprenderlo. Tentativi di perdere peso senza agire sui fattori suddetti e senza intraprendere il necessario programma di cambiamento delle idee e delle abitudini sbagliate hanno quale sicuro risultato l’abbandono della eventuale dieta ed il rapido recupero del peso corporeo: in una parola sola, il fallimento.
2. E’ stato detto, purtroppo anche da parte di molti medici, che l’unico intervento adeguato per perdere peso è quello di ridurre l’introito calorico per portare in passivo il bilancio energetico. Se questo presupposto, in linea puramente teorica, può sembrare corretto, esso si è rivelato invece del tutto errato perché i programmi terapeutici finalizzati alla perdita di peso che prevedono solo l’intervento dietetico hanno portato a clamorosi insuccessi. La spiegazione sta nel fatto che un pur corretto intervento dietetico, cioè un cambiamento delle abitudini alimentari, deve essere mantenuto per tutta la vita; ma questo provvedimento non sarà mai possibile se non si interviene contemporaneamente su tutti i fattori che hanno generato e che sono responsabili del sovrappeso e dell’obesità, cioè gli errori alimentari e le abitudini di vita, il comportamento in genere e quindi lo stile di vita.
3. La dieta, cioè la restrizione calorica, rimane lo strumento più importante per la correzione dell’eccesso di peso, l’ausilio necessario per ottenere la negatività del bilancio energetico. Ma l’adozione della dieta ipocalorica determina una serie di fenomeni di controregolazione, di tipo sia biologico che psicologico, i quali impediscono di seguirla a lungo termine. La dieta riduce le calorie e, necessariamente, elimina alcuni alimenti: queste “restrizioni” ingenerano sia il senso di fame per la “mancanza” di energia, ma anche scatenano desideri psicologici per la “mancanza” di quei cibi che sono proibiti.
In tempi relativamente brevi, i suddetti fenomeni “biopsicologici” comportano l’abbandono della dieta se questa non è inserita in un programma di tipo psico-educativo che insegni al paziente tutti i segreti della nutrizione e, soprattutto, lo metta in condizione di sapere difendersi quando comparirà l’inesorabile reazione biopsicologica dell’organismo a fronte della restrizione nutrizionale. Un fondamentale intervento comportamentale è costituito dall’attività fisica, la quale rappresenta, nella maggior parte dei casi, un radicale cambiamento delle abitudini di vita; infatti, contrariamente a quanto si crede, nella genesi dell’eccesso di peso maggiori colpe sono da attribuire alla sedentarietà rispetto all’iperalimentazione. Si è inoltre potuto osservare che la capacità di svolgere una regolare attività fisica consente le maggiori probabilità di mantenere a lungo termine la perdita di peso; contrariamente a quanto accade per i soggetti sedentari, che seguono solamente una dieta ipocalorica, per i quali la probabilità di mantenere il peso perduto è molto bassa.
Anche i farmaci possono avere un ruolo importante nei programmi di terapia dimagrante; essi possono essere di aiuto nel rispettare le indicazioni ed anche nel modificare certe errate abitudini alimentari. Tutti i farmaci hanno effetti collaterali e controindicazioni; più potente è l’azione farmacologica, più elevato è il pericolo di effetti non voluti. Per tali motivi solo ed esclusivamente il medico può prescriverli e guidare la loro somministrazione.
Dieta, attività fisica e farmaci, presi singolarmente, si sono rivelati inutili; anche la loro azione combinata non ha dato i risultati sperati. Essi rappresentano ancora i capisaldi della terapia dimagrante; ma solo quando fanno parte di un programma terapeutico di tipo psico-educativo o, più correttamente, di tipo cognitivo-com-portamentale diventano utili ed efficaci. Questi programmi sono innanzitutto di tipo cognitivo, perché insegnano al paziente quello che deve conoscere della nutrizione e del comportamento, ma anche e soprattutto come adoperare questo sapere. I programmi, inoltre sono di tipo comportamentale, perché insegnano al paziente gli strumenti e le necessarie abilità per adattarsi nel modo migliore all’ambiente che lo circonda, a tutte le sue trappole ed i suoi inganni.
4. Quanto detto nel corso del susseguirsi delle varie schede fino a quest’ultima può ingenerare un senso di scoramento e di sfiducia di fronte ad ostacoli troppo onerosi ed a prospettive troppo pesanti. Se da un lato non si può nascondere la verità (si è infatti visto che il metodo semplice e apparentemente facile della dieta ha portato solo ad insuccessi), d’altro canto però bisogna affermare che i suddetti, più promettenti programmi sono oggi possibili, ma richiedono un particolare impegno sia da parte del medico che da parte del paziente. I programmi di tipo psico-nutrizionale ( o meglio cognitivo-comportamentale) richiedono una grande preparazione da parte del medico e della sua équipe e un totale coinvolgimento da parte del paziente. Come si è detto, nell’ambito di questi programmi si inseriscono i capisaldi tradizionali delle terapie dimagranti: la dieta, l’attività fisica ed anche i farmaci. Ma essi devono essere compresi in un contesto di tipo educativo nel quale il paziente, progressivamente, deve conoscere e capire tutti i segreti che da un lato stanno alla base del formarsi dell’obesità e dall’altro costituiscono l’architettura dell’intervento terapeutico.
Questi programmi non sono né semplici né facili ed usualmente sono possibili solo nel contesto di centri altamente specializzati. Ma l’alta specializzazione può essere consentita anche al professionista il quale persegua l’idea di ottenere piccoli risultati nei tempi più lunghi piuttosto che illudere il paziente con grandi risultati in tempi assai brevi, seguiti poi dal fatale insuccesso.
In tutti questi casi è indispensabile la guida del proprio medico curante, il quale deve decidere se l’eccesso di peso deve essere corretto ed eventualmente indicare al paziente lo specialista o il centro specializzato più adatti per la cura di ogni singolo caso.